Zuckerberg vs Altman: nella bolla IA

Dentro la bolla IA si scontrano due visioni: infrastrutture e calcolo da un lato, missione e alleanze dall’altro. Chi modellerà davvero l’AI che usiamo ogni giorno?

L’intelligenza artificiale è oggi il motore di una trasformazione economica, culturale e geopolitica senza precedenti. Ma dietro le dichiarazioni di principio e la retorica della “missione umanitaria”, la realtà è fatta di cifre colossali, infrastrutture gigantesche e alleanze miliardarie. Due figure emergono in questo scenario come veri antagonisti: Mark Zuckerberg, fondatore di Meta, e Sam Altman, leader di OpenAI.

La loro non è un’alleanza, ma una rivalità che definisce l’ecosistema: da un lato un approccio basato sulla costruzione di infrastrutture tangibili, dall’altro una strategia fondata sulla narrazione e sulle partnership. È un confronto che segna la traiettoria della bolla IA, un fenomeno che ricorda l’epoca delle dot-com e, più recentemente, delle criptovalute: momenti in cui l’innovazione reale si intreccia con la speculazione finanziaria, lasciando sul campo pochi vincitori e molte promesse non mantenute.

La guerra del talento nella bolla IA: poaching e missione

Il primo fronte di scontro riguarda le persone. Negli ultimi mesi Meta ha intensificato il reclutamento di scienziati e ingegneri di punta, con offerte economiche mai viste prima. Secondo fonti Reuters, tra i nomi corteggiati c’è anche Alexandr Wang, fondatore di Scale AI, chiamato a rafforzare la corsa verso la cosiddetta “superintelligenza”.

Sam Altman ha accusato pubblicamente Meta di adottare una strategia “mercenaria”, arrivando a citare bonus d’ingresso nell’ordine dei 100 milioni di dollari. Meta ha smentito la cifra, ma la contrapposizione resta evidente: per Meta il talento è un asset da acquistare, per OpenAI un capitale umano da trattenere grazie al senso di missione.

Questa dinamica richiama altre “guerre del talento” che hanno segnato la storia di Silicon Valley: dalla corsa ai designer di chip tra Google e Apple, fino al reclutamento aggressivo dei ricercatori di machine learning da Baidu a Google. Ma nell’AI il fattore è doppio: non basta avere le persone, serve anche potenza di calcolo. Da qui il mantra che circola tra i leader del settore: compute per ricercatore.

Zuckerberg nella bolla IA: infrastrutture come garanzia

Se c’è una cosa che caratterizza Zuckerberg è il pragmatismo. Il fondatore di Meta non parla di “umanità” o “responsabilità storica”, ma di calcolo e infrastruttura.

Meta ha annunciato investimenti record: tra i 60 e i 72 miliardi di dollari solo nel 2025, con un piano che potrebbe toccare i 600 miliardi entro il 2028. L’obiettivo è costruire data center iperscalabili e acquistare oltre 1,3 milioni di GPU equivalenti agli H100 di Nvidia entro la fine del 2025.

La logica è semplice: più potenza di calcolo per ricercatore significa più produttività scientifica e maggiore attrattiva per i migliori talenti. Una logica che richiama la corsa alle infrastrutture del passato: come le ferrovie del XIX secolo, sopravvissute alle crisi speculative perché restavano come asset tangibili, così i data center diventano il “ferro e acciaio” del XXI secolo.

Non a caso Meta non punta solo a software e piattaforme social: i Ray-Ban Meta Display e i braccialetti neurali EMG sono tasselli di una strategia più ampia, in cui l’interfaccia uomo-macchina diventa la porta d’ingresso alla “personal superintelligence”. A questo si aggiunge la trattativa con Oracle per un contratto cloud da 20 miliardi di dollari, che consentirebbe a Meta di diversificare le fonti di calcolo, proprio come Amazon fece con AWS trasformando il cloud in un’infrastruttura universale.

AI bubble: into the algortihm

Altman nella bolla IA: missione, alleanze e nuove frontiere

Sam Altman, al contrario, punta a costruire consenso attraverso la narrativa: OpenAI non trattiene i suoi scienziati con stipendi fuori scala, ma offrendo la prospettiva di contribuire a una svolta epocale — la costruzione di un’AGI che “benefici l’umanità”.

Ma la filosofia oggi si intreccia con scelte pragmatiche. Nel 2025 OpenAI ha introdotto i primi modelli open-weight (gpt-oss-120b e 20b) per sviluppatori, un segnale di apertura tattica in risposta alla pressione competitiva di Meta e DeepSeek. Allo stesso tempo, i modelli più avanzati come GPT-4o restano chiusi e disponibili solo via API, per garantire sicurezza e monetizzazione.

Il cuore della strategia è però nelle alleanze. Con il progetto Stargate, sviluppato insieme a Microsoft, Oracle e SoftBank, OpenAI guarda a investimenti fino a 500 miliardi di dollari. Nel settembre 2025, ha firmato con Oracle un contratto da 300 miliardi in 5 anni per servizi di cloud computing: uno dei più grandi accordi tecnologici della storia.

Parallelamente, Altman apre un nuovo fronte: l’hardware. Con l’acquisizione di io Products, startup fondata da Jony Ive, OpenAI vuole creare dispositivi AI dedicati al consumo, con il primo lancio atteso nel 2026. È un passo che richiama il modello Apple: integrare software e design per consolidare l’esperienza utente.

Ma c’è una contraddizione evidente: la missione di “AGI per l’umanità” si regge su contratti miliardari e funzionalità compute-intensive disponibili solo per utenti Pro. La tensione tra narrativa etica e necessità economiche è ormai il tratto distintivo della strategia OpenAI.

Missionari contro mercenari nella bolla IA: dalla cattedrale al bazar

La rivalità tra Zuckerberg e Altman è stata spesso sintetizzata con lo slogan “missionari contro mercenari”. Ma questa formula, se letta alla luce della storia del software, assume un significato più profondo.

Nel 1997 Eric S. Raymond pubblicò The Cathedral and the Bazaar, manifesto dell’open source. In esso contrapponeva due visioni: la cattedrale, modello chiuso e centralizzato in cui pochi controllano lo sviluppo, e il bazar, spazio aperto e collaborativo in cui la comunità distribuita contribuisce liberamente all’innovazione.

Oggi, nella bolla IA, quella tensione ritorna:

Meta/Zuckerberg ricorda la cattedrale. La sua forza è nel capitale e nelle mura fisiche: data center, GPU, wearable. È un modello verticale, pianificato dall’alto, che punta al controllo totale della filiera.

OpenAI/Altman si presenta come il bazar. Evoca una missione condivisa, apre parzialmente i modelli (open-weight), stringe alleanze distribuite, mobilita comunità di sviluppatori e ricercatori. Non si limita a costruire prodotti, ma racconta una storia di partecipazione e scopo collettivo.

Il paragone, tuttavia, non è perfetto. L’open source degli anni ’90 era un vero movimento dal basso; OpenAI resta un attore istituzionale, legato a contratti miliardari e partnership con big tech. La retorica del bazar si intreccia con la realtà della cattedrale finanziaria.

Eppure, il richiamo resta potente: come negli anni dell’open source, anche oggi la narrazione di apertura diventa una leva strategica. Serve a differenziarsi, a trattenere talenti, a costruire fiducia in un contesto dominato dalla speculazione. In questo senso, “missionari contro mercenari” non è una descrizione oggettiva, ma una battaglia di narrazioni: Zuckerberg come architetto di cattedrali infrastrutturali, Altman come guida di un bazar cognitivo.

Bolla IA: diagnosi e strategie

Altman e Zuckerberg concordano almeno su un punto: siamo nel pieno di una bolla. Il primo la descrive così: “quando c’è un nocciolo di verità, le persone intelligenti si eccitano troppo e le valutazioni si gonfiano”. Il secondo non la teme: come le ferrovie del XIX secolo sopravvissute al crollo speculativo, anche i suoi data center resterebbero come eredità tangibile.

I dati confermano la febbre: nel primo semestre 2025 i finanziamenti all’AI negli Stati Uniti hanno toccato i 104 miliardi di dollari, +75% rispetto all’anno precedente. Eppure, secondo il MIT, il 95% dei progetti pilota di GenAI non produce ritorni concreti.

Ecco allora le due strategie:

  • Meta: trasforma l’euforia in asset fisici — GPU, data center, wearable — costruendo infrastrutture che restano anche dopo l’eventuale scoppio della bolla.
  • OpenAI: trasforma la speculazione in consenso e alleanze: missione, open-weight, partnership miliardarie e dispositivi in arrivo.

La storia insegna che, dopo ogni bolla, restano pochi grandi vincitori. La domanda è aperta: sarà l’architetto della cattedrale o il leader del bazar a controllare la piattaforma dell’AI personale che deciderà come useremo l’intelligenza artificiale ogni giorno?

AI Act e bolla IA: le regole del gioco in Europa

A rendere il quadro ancora più complesso è la regolamentazione. L’AI Act europeo, entrato in vigore nell’agosto 2024, stabilisce un calendario stringente:

dal 2025 obblighi di trasparenza per i modelli generali,

dal 2026 regole severe per i sistemi ad alto rischio,

entro il 2027 un rafforzamento progressivo della compliance.

Non si tratta solo di burocrazia: come già accadde con il GDPR, che da vincolo europeo divenne standard globale, anche l’AI Act può trasformarsi in un modello internazionale. In questo scenario, la capacità di integrare la regolazione nei processi sarà un vero vantaggio competitivo. Meta e OpenAI lo sanno bene: il futuro della bolla IA non si giocherà soltanto sui chip e sui modelli, ma anche sulla capacità di governare la complessità normativa.

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