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Dallo Sputnik a DeepSeek: la scommessa cinese per la supremazia nell’AI

Quando l’AI “aperta” di Pechino diventa un’arma geopolitica.

Ormai abbiamo tutti sentito parlare di DeepSeek. Prima gli esperti, poi i media e infine il grande pubblico hanno puntato i riflettori sulla nuova AI cinese che ha scosso Meta, Microsoft, Google e persino Nvidia — il principale produttore mondiale di chip per AI, bandito dal mercato cinese a causa del #ChipsAct, e che ha perso 589 miliardi di dollari in un solo giorno.

Ma DeepSeek non è solo un modello di AI open-source — è una sfida diretta alla supremazia tecnologica statunitense. Con DeepSeek, Pechino cerca di smontare il mito della superiorità del capitalismo liberale, presentandosi come alternativa più “aperta”, efficiente e libera rispetto ai giganti Big Tech americani che dominano e restringono il mercato dell’AI. Così, uno dei Paesi più sorvegliati digitalmente al mondo si propone come campione della libertà digitale.

Pochi giorni dopo il lancio di DeepSeek è arrivato Qwen, il modello AI di Alibaba — con prestazioni capaci di superare gli omologhi occidentali.

«Personalmente credo che siamo stati dalla parte sbagliata della storia e dobbiamo trovare una strategia open source diversa.»

Insomma, stiamo assistendo a un confronto USA–Cina per la leadership tecnologica globale, e l’attacco borsistico a Nvidia (già accusata di violare le leggi anti-monopolio cinesi) segna l’inizio di una nuova fase della guerra economica.

AI: Open Source o soft power strategico?

Ma DeepSeek rappresenta davvero la vittoria di un modello di sviluppo “libero” sul dominio della Big Tech americana? Ovviamente no. Siamo lontani dallo spirito di collaborazione e condivisione della conoscenza che ha dato origine all’open source e al software libero.

Allora che cosa c’entra davvero #DeepSeek con l’Open Source? DeepSeek è stato presentato come prova del successo dell’open source e dell’approccio cinese allo sviluppo dell’AI — un modello economico, culturale e sociale diverso e migliore. Ma non è tanto la tecnologia in sé: è la piattaforma, l’ecosistema economico cinese che espone il suo nuovo campione.

Nel 1957 l’URSS lanciò in orbita lo Sputnik 1, gettando gli Stati Uniti nel panico e avviando la corsa allo spazio. Nel 2024, la Cina lancia DeepSeek e apre la corsa alla supremazia nell’AI.

AI Illustrazione cyberpunk di DeepSeek, resa futuristica dello schema sfera-quadrato
Resa futuristica di Cybermediateinment del controllo sfera-quadrato di DeepSeek. Image: Cybermediateinment

La logica di mercato dietro la “trasparenza”

DeepSeek è un modello di AI open-source: il codice è accessibile e modificabile. In teoria, questa apertura dovrebbe favorire uno sviluppo rapido, premiare la partecipazione e riconoscere i contributi degli sviluppatori. La realtà è molto più complessa.

La storia dell’#opensource è intrecciata alle pressioni del mercato: nasce dalle utopie dei primi programmatori e delle comunità hacker, ma col tempo interessi commerciali e politici l’hanno rimodellata. Il movimento del Software Libero, nato nei laboratori di AI del MIT negli anni ’60, predicava condivisione della conoscenza e libertà d’uso anche commerciale. Oggi sopravvive soprattutto la versione che serve gli interessi di mercato: quella che produce risultati rapidi, attrae investitori e genera profitti. Le Big Tech — potenze finanziarie e governative — gestiscono progetti “aperti” come ecosistemi per alimentare le loro piattaforme e imporre standard di fatto.

E adesso, con DeepSeek, l’open source diventa una bandiera sventolata dalla Cina.

AI: un nuovo “momento Sputnik”

Il lancio di DeepSeek riguarda meno la liberazione dell’ecosistema AI e più la ridefinizione dei racconti geopolitici. Colloca Pechino come fornitore di libertà digitale in un mondo sempre più scettico verso i monopoli tecnologici americani.

La vera contesa non riguarda la trasparenza del codice — riguarda il potere della narrazione e la capacità di fissare gli standard globali.

Così come lo Sputnik catalizzò la corsa allo spazio, DeepSeek potrebbe inaugurare un’epoca in cui la stessa “apertura” diventa un’arma geopolitica.

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